Bautista e Ducati: storia di una storia con l’happy ending!

Bautista

– Ciao, sono io, volevo dirti che mi manchi, torniamo insieme, sono cambiato.

– Anch’io. Lui se ne va, torna da me.

Una storia d’amore.

In un mondo motociclistico distratto da eventi ben più fashion e spumeggianti (il caso Tanal/VR46, il ritorno di Dovizioso, il licenziamento di Vinales e il suo ingaggio in Aprilia), è passato quasi sotto traccia il più grande “undo” del decennio. La mossa di ritorno di fiamma più clamorosa e forse inaspettata oltre che apparentemente illogica e inappropriata: quella fra Bautista e Ducati Aruba.

In realtà chi ha descritto a lungo fasi interlocutorie, passaggi, trattative, movimenti di mercato, concorrenza, riuscendo anche a farsi smentire ufficialmente, ha parlato per niente, dato che non ce ne sono stati.

Perché ad un certo momento, due entità che non avevano mai litigato, Ducati e Bautista, sono tornate magicamente insieme come se fossero passati due giorni e non due anni in cui entrambi hanno sofferto della reciproca mancanza.

Bautista e Ducati, anche se in quel momento è sembrato diverso, non hanno mai litigato. C’è stata solo freddezza.
Mancando il mondiale, mancando il dialogo per colpa di altri e forse anche i soldi, semplicemente non hanno provato con molto impegno a trovare un accordo.

LUI: Dalla parte di Bautista, il pasticcione
Bautista è andato a prendere i soldi, è vero, ma è stato anche confuso dall’invito esplicito e ammiccante di Marc Marquez, che aveva illustrato il progetto HRC SBK in Spagna come vincente.
Probabilmente lo è, come è evidente che Honda ha impegnato risorse importanti, ma è proprio la moto che non va. Il CBR è una moto da strada prestata alle corse, fatta da Honda per andar bene a tutti. Una moto da vendere e non una macchina da guerra che funziona nelle mani di pochi.

La Ducati, invece, è una moto da corsa con la targa. Ci si sposano i rider più raffinati che conoscono il V4. I domatori coraggiosi che usano anche il cervello.
Sentendosi desiderato umanamente e finanziariamente, Bautista ha ascoltato Marc Marquez e si è buttato alla cieca in qualcosa che sappiamo tutti non aver funzionato. E’ stato proprio l’impatto con il CBR a far capire ad Alvaro, che diversamente da Haslam cerca la vittoria prima della pensione e non la pensione al posto della vittoria, che bisognava fare il percorso contrario.
Per lui è stato tutto chiaro solo dopo, quando la rossa era lontana. Rinunciare ai soldi e alla sicurezza per chiudere la carriera da vincente, è stato irresistibile ed onorevole.

 

LEI: Ducati, sofisticata e capricciosa
Non sappiamo se è la moto migliore del lotto. Di sicuro è il più prototipo fra le moto di serie. Come tutti gli strumenti di precisione, dà quello che riceve e ha bisogno di un pilota da MotoGP che si presti a farla correre in Superbike.
Ducati. Capricciosa e da decifrare, sia la moto che i suoi uomini, che con i piloti hanno spesso fatto scelte incomprensibili ai più.

“Ci ha contattato lui – dice Stefano Cecconi, Team Principal Ducati Aruba Superbike- e ci ha colpito il fatto che non era uno che dovevamo cercare di convincere a rimanere, ma uno che ci chiedeva di tornare. Ha rinunciato ad un ingaggio più comodo del nostro per altri due anni, in cambio di un annuale a meno soldi, proprio per tornare a vincere, con la nostra squadra e la nostra moto.”

In questi termini sono più facili da dimenticare anche i momenti bui.

“Analizzandola bene – continua Cecconi – i risultati della seconda parte della stagione sono dovuti più alla configurazione del calendario, molto favorevole all’inizio con piste più da MotoGP e più ostile nella seconda parte, con piste più old style, che a veri e propri errori. Gli sbagli sono stati pochi. A noi uno come Bautista, manca. E’ vero che ha perso un mondiale. Ma per perdere un mondiale quasi vinto, bisogna quasi vincerlo.”.

Una dichiarazione d’amore fra due entità che sapevano cosa aspettarsi l’uno dall’altro e che alla fine erano delusi più da loro stessi che dal partner.

LE AMICHE DI LUI E DI LEI
Battistella, il manager di Bautista e la parte manageriale Ducati, nel 2019 sono stati attori di un misunderstanding tragicomico. Il risultato che alla fine ha scontentato tutti, lo conosciamo ma le ragioni sono forse più situazionali che legate alla volontà e dovute più a frizioni con il vertice che con gli uomini in pista. Con le stesse parti a confrontarsi duramente sul tema Dovizioso, ci ha rimesso lo spagnolo. Un po’ come due amiche che dovrebbero intercedere per far tornare due persone insieme, e invece litigano fra loro per altri motivi.

L’ALTRO: Scott Redding
Quella voglia di non rimanere, cercando di farsi convincere chiedendo più soldi, più garanzie, più tutto, battendo i piedi e cercando di farsi pregare a restare, con Ducati non funziona nemmeno quando vinci.
E non aiuta se al tuo arrivo hai fatto tutto facile senza poi ottenere quello che avevi promesso. L’impennata recente è tanto sorprendente quanto tardiva. Era già finita da un pezzo.

 

EXTRA STORY: L’angolo di Rinaldi e l’opzione Petrucci
Michael Ruben Rinaldi, ha un angolino piccolo ma è asciutto e sicuro.
Mai in discussione, è l’investimento di Bologna. Il rinnovo parla chiaro e la mancanza di risultati non è attribuita all’Italiano.
E chi cerca a tutti i costi la storia dei movimenti di Petrucci, rimarrà deluso.
Realmente interpellato, non è mai stato della partita, né per sostituire Redding, né per andare al posto di Rinaldi.
L’italiano aspettava KTM e KTM è in qualche modo arrivata.
La relazione con Ducati non è mai andata oltre una chiacchierata preliminare. E sempre bello mettere un po’ di pepe e arricchire le storie, ma certe volte proprio certe cose non esistono.

FINALE: da scrivere
Adesso che tutti i tasselli sono a posto, come andrà fra Ducati e Bautista? Sarà sufficiente aspettare e non è importante sapere adesso se funzionerà.

Era bello  raccontare la storia.



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