Caschi mascherati o taroccati. Questione di soldi!

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Ogni tanto qualcuno che ha sonnecchiato negli ultimi 20 anni, oppure che non sa come funzionino le cose nel mondo delle corse, esce con degli scoop che sono la scoperta dell’acqua calda, anzi tiepida.
Per quanto riguarda i caschi, diciamolo, non è una novità quella dei brand mascherati, ricicciata fuori con Dovizioso in occasione dei test con Aprilia.

Una volta, quando il gap era evidente tra marchi blasonati e non, succedeva spesso.
Ricordiamo un Biaggi che usò un casco giapponese mettendogli sopra un adesivo Bieffe (azienda che lo sponsorizzava) dopo essersi quasi ammazzato per via della visiera appannata causa condensa.
Una roba che si vedeva da metri e metri di distanza. Non c’erano i social e se ne parlò il giusto.

Lo stesso Melandri,tanti anni fa, testimonial di una Nolan che al momento aveva un prodotto nuovo un po’ ambizioso, in una giornata di maltempo scelse uno Shoei. Poi però la casa di Brembate di Sopra risolse così bene il problema da essere diventato un riferimento.
Nello sci, addirittura, dove freddo condensa e altri pasticci sono all’ordine del giorno, casco e occhiali sono spesso mascheratissimi.
Per non parlare di Lorenzo che durante un giro di allineamento in notturna ebbe un problema con il suo HJC e mise in croce i coreani in mondovisione. La cosa servì e adesso l’azienda ha un racing service molto più attento.

Ma ce ne sono tanti altri di casi simili o affini, di mascheramenti, scopiazzamenti e vicende ambigue.
L’azienda Suomy, in un periodo in cui la proprietà era diversa, fu citata da Arai per aver copiato un modello. La spuntò la casa Italiana ma insomma la similitudine era evidente. Non si poteva negare. E molti dei suoi piloti sembrava non gradissero molto il prodotto in caso di acqua. Ma anche qui l’azienda migliorò… e in Superbike per anni ebbe il quasi monopolio.

Poi la casa di inverigo è passata in mani o in produzioni asiatiche, ci sono stati dei cambiamenti di regolamento e omologazioni FIM e quindi qualcuno si è trovato fuori fiche con le omologazioni… con la necessità di chiedere ai piloti di firmare per il brand ma correre con un altro prodotto in attesa di risolvere.

Alla fine, con tutte queste nuove aziende cinesi o con brand che sono solo nomi e non vere e proprie factory, il gap si è ripresentato. Perché fare i caschi,specialmente quelli da corsa, non è una cosa che ti puoi inventare da un giorno all’altro.
Le differenze si vedono.

E ora veniamo ai piloti.
Quasi tutti sono lì per soldi. Un pilota che tiene alla sicurezza non è un ossimoro ma, insomma, poco ci manca.
Un rider firma per soldi e poi dal casco vuole performance in caso di caldo estremo, freddo e, più di ogni cosa, acqua e condensa, i veri nemici della visibilità. Non tutti pensano all’efficienza in caso di impatto.

Le aziende veramente leader sono giapponesi e, a meno di casi eclatanti, non sono mai troppo generose dal punto di vista contrattuale.
Per quanto riguarda l’Italia, i caschi li sappiamo fare, a patto che siano prodotti da noi. I marchi li conosciamo.
Poi ci sono aziende di vari livelli, che progrediscono, è innegabile, e cercano di colmare il gap, ma che sono ancora un po’ lontane dagli standard di cui sopra.

Quindi succede che i piloti firmano per un brand che dà loro denaro, ma poi indossano qualcos’altro. Oppure firmano per un brand e basta, indossando accrocchi e robe improbabili. Date un’occhiata ai rookies nelle categorie minori o nei campionati nazionali.
Perché diciamolo, quella di mascherare il marchio è una cosa brutta, ma correre con un prodotto non performante, è decisamente peggio.

Questo spiega come mai Valentino Rossi fu visto a Misano in scooter con un Arai brandizzato AGV, oppure in auto con altri caschi di altre aziende un po’ dissimulati. Ma del resto qualcuno crede veramente che un 9 volte campione del mondo indossi un casco di serie?
Uno ci crede se il pilota indossa un casco di marca e modello corrispondente a quello che rappresenta… ma nel caso scoprisse il suo campione indossare qualcos’altro, qualche dubbio ha il diritto di farselo venire.

Insomma i casi sono decine. Esistono da sempre e non finiranno mai.

E ora veniamo al caso che ha ri scatenato tutto quanto, ovvero quello di Dovizioso.
Scaduto il contratto con la Suomy, e quindi finiti i soldi, ha continuato ad indossare il suo Shoei, mostrandone finalmente il marchio. Un po’ come uno che rompe con la moglie e quindi è finalmente libero di uscire allo scoperto con l’amante.

Non è bello ma tant’è. Non c’è niente di peggio di un rapporto commerciale che finisce.

Se ho detto cose non vere o qualcuno sente la necessità di puntualizzare o smentire, mi scuso e sono qui a disposizione per rettificare o integrare.

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